Davanti agli sprechi di una classe politica, sul social network spunta il gruppo “Referendum sugli stipendi dei politici italiani” che in soli due mesi ha superato i 13mila membri. Propone quattro quesiti: i primi due riguardano la riduzione degli stipendi dei parlamentari e l'eliminazione dei senatori a vita
Se la Casta non rinuncia ai suoi privilegi, saranno i cittadini a forzare la mano. Come? Con l’organizzazione di un referendum tramite i social network. Davanti agli sprechi di una classe politica che vive di menù a prezzi stracciati alla buvette e sostiene la necessità di “coccolare i parlamentari”, il gruppo Facebook “Referendum sugli stipendi dei politici italiani” in soli due mesi ha superato i 13mila membri. Propone quattro quesiti: i primi due riguardano la riduzione degli stipendi dei parlamentari e l’eliminazione dei senatori a vita, e se ne aggiungono altrettanti, per ora dai contenuti approssimativi, sul taglio delle accise sui carburanti e l’abrogazione parziale di alcuni articoli della legge Biagi .
Ma è sui primi due che si concentra l’interesse di migliaia di italiani che desiderano tagliare le indennità di chi siede a Montecitorio e Palazzo Madama. Vogliono sensibilizzare l’opinione pubblica per abrogare i privilegi previsti dalla legge 1261 del 1965 ad eccezione dell’articolo 1 “in modo che un parlamentare possa prendere al massimo uno stipendio di 5.613 euro”. Nel secondo quesito, invece, si chiede “l’abrogazione dell’articolo 59 della Costituzione” ovvero l’abolizione deisenatori a vita, “inutili e dispendiosi per lo Stato”. E dalla sensibilizzazione il gruppo intende procedere verso la raccolta firme per una tornata referendaria.
“Era fine agosto e dopo gli emendamenti alla Finanziaria ho deciso di aprire il gruppo. Era assurdo che solo noi italiani dovessimo fare sacrifici per rispondere alla crisi”, spiega il promotore Marco Savari, lavoratore di 33 anni, che con questa iniziativa vuole ribadire la sovranità popolare. Raccomanda ai partiti a non mettere il cappello su questa proposta ma invita chiunque a diventare membro in veste di libero cittadino. Oltre a specificare di “non avere nessuna tessera”, aggiunge che dietro l’iniziativa non ci sono “né il Popolo Viola, né gli Indignati”. E pensa a come passare da Facebook al referendum. “Ci stiamo organizzando in tutte le regioni per avere referenti affidabili e disponibili a raccogliere le firme”, prosegue Savari, che ritiene facilmente raggiungibile il traguardo delle 500.000 richieste dalla legge.
“A differenza della legge di iniziativa popolare, che poi deve essere discussa dal parlamento, il referendum è l’unica arma per sconfiggere questa classe politica e indebolirla”. I privilegi dei parlamentari, inoltre, sono uno dei principali motivi di malcontento nel paese e oggi, pare, la misura è stata superata. “Riteniamo che il loro attuale stipendio al netto delle indennità sia un giusto compenso. E, come noi cittadini, devono pagare aerei, stadio, treno. Questo non è un dibattito né di destra, né di sinistra”. Se tutto andrà bene, la raccolta firme non potrà iniziare prima di gennaio. Anche se ci sono dei costi da affrontare.
“Il problema è anche economico – conclude Savari –. Infatti soltanto per i moduli della raccolta firme la spesa è di 20mila euro. Non voglio che chi partecipa si trovi anche a finanziare l’iniziativa di tasca sua, per cui stiamo chiedendo aiuto a imprenditori e sponsor”. E anche sui rimborsi elettorali il gruppo vuole scardinare quanto è successo finora: “Secondo l’articolo 4 della legge 157 del 03/06/99, in caso di raggiungimento del quorum, quando richiesto, si prevede un rimborso di mille vecchie lire per ogni firma valida. Ecco perché dietro ai referendum si nascondono spesso i partiti politici. Noi, però faremo diversamente”. Perché in questo caso, se i quesiti avranno successo, i rimborsi andranno in beneficenza.
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